koka

nr. 126 / 8 mars 2009

alukit

 

Le lezioni della tragedia di “Barberino del Mugello”

Quello che avvenne, avvenne! Una famiglia albanese, immigrati in Italia, è stata sterminata nel modo più macabro possibile. Una madre 37-enne che quella mattina del 1° marzo 2009 doveva andare al lavoro, nonostante fosse domenica, un bambino di 13 anni che doveva giocare nel verde campo di calcio di Barberino del Mugello per realizzare un sogno, una bambina di 14 anni che sognava di essere una famosa “velina” nei programmi televisivi italiani, lasciano questo mondo in modo del tutto imprevisto, senza alcuna colpa, semplicemente perché nel piano di sotto viveva una persona problematica, il 38-enne Tommaso Mengoni. Se ne sono andati in un momento quando loro padre era andato oltre il mare per giungere nel paese di nascita, forse per preparare il ritorno nella patria della famiglia, dopo una lunga e faticosa immigrazione in Italia. La tragedia consumata è completa, penosa ma che deve essere svelata per fare giustizia, che purtroppo non riporterà indietro le tre innocenti vittime dell’irresponsabilità di un individuo, sia pure questo il proprietario della palazzina del orrore a “Barberino del Mugello”.

Non solo albanesi, ma anche italiani, addirittura anche il Sindaco di Barberino del Mugello (FI), Gian Piero Luchi, ha ammesso davanti ai media locali che “effettivamente nel passato, il 38-enne Mengoni aveva avuto problemi di tossicodipendenza. Ma se il suo comportamento fosse risultato pericoloso per gli inquilini e gli affittuari, saremo intervenuti”. Altri abitanti della zona raccontano che Mengoni non solo si comportava come un pazzo, non solo aveva dei problemi di tossicodipendenza, ma alzava oltre ogni limite il volume della musica e della TV fino alle 4 del mattino. Nel frattempo, solo negli ultimi mesi ci sono stati tre allarmi nella palazzina per la fuga di gas. Anche nel giorno della tragedia, Angjelina Gjonaj, 37 anni, madre di due figli, Dorina e Dorian, era scesa da Mengoni per  avvisarlo di una fuga di gas che si constatava dalla puzza sparsa per tutta la palazzina. Era andata anche davanti alle finestre dell’abitazione chiamando il 38-enne italiano, ma senza ricevere alcuna risposta. Questo lo ammette davanti ai media lo stesso Mengoni, il quale infatti fu ferito in questa tragedia, ma essendo fuori pericolo. Egli racconta davanti ai media di aver sentito delle grida e si è alzato dal letto, e non appena ha acceso una sigaretta è finito fuori sulla strada dalla pressione dell’esplosione del gas. Con la prima esplosione c’è stato un incendio e la madre con i due figli sono usciti alle finestre per chiedere aiuto. L’unico aiuto sono state le grida degli abitanti che li invitavano a buttarsi perché li avrebbero presi loro!...

Non è passato molto e dopo pochi minuti si è sentita un’altra esplosione più forte e in quel momento è caduto il soffitto del piano di sopra schiacciando tre vite innocenti, segnando la prossima tragedia albanese con tre vittime innocenti, una madre e i suoi due figli…

Non credo che qualcuno, sia albanese che italiano, sospetti che Tommaso Mengoni abbia causato di proposito l’esplosione, poiché anche lui ha rischiato la vita. Comunque, vi è, e vi deve essere una responsabilità, più che del 38-enne, delle apposite istanze che avevano il dovere di sorvegliare certi individui problematici. Se scambiamo le posizioni per un istante: le tre vittime sono italiani, una madre e i suoi due figli, e la “causa” della tragedia, un albanese. Infatti non ci sarebbe stata una tragedia, poiché nella prima occasione che si sarebbe costatata, ad una persona straniera problematica, che fa uso di droga e che disturba l’ordine pubblica gli avrebbero mostrato il suo posto: dalla prigione all’estradizione fuori dall’Italia.

È vero che noi siamo un “popolo di immigrati” come gli stessi italiani fino agli anni ’70 del secolo scorso. È vero che le condizioni economiche ci hanno obbligato a cercare un alternativa migliore fuori dal nostro paese. È vero che come ogni altra nazione abbiamo anche noi i simboli dei quali andiamo fieri e dobbiamo essere fieri. Ma per tutti questi motivi chiediamo di essere trattati anche noi con gli stessi diritti degli italiani, anche se non abbiamo lo stesso passaporto, ma che rispondiamo, come ogni altro cittadino agli obblighi del paese dove abbiamo scelto o siamo costretti a vivere.

Quale fosse la situazione dell’italiano Mengoni la mattina del 1° marzo, è chiaro da quanto egli ha raccontato: appena alzato dal letto, ha acceso una sigaretta, senza essere in grado nemmeno di sentire la puzza del gas, che si era sparsa addirittura sul cortile davanti alla palazzina. Per questo crimine hanno la loro responsabilità anche le autorità di Barberino del Mugello. Come si poteva lasciare incontrollata una persona, dal quale soltanto negli ultimi mesi è stato costatata ben tre volte una fuga di gas, fino al rischio di esplosione e di una tragedia, che, si è avverata purtroppo alle spese di tre albanesi innocenti! Niente può riportare in vita quella famiglia, nessuno può riportare al marito la moglie e i tre figli, nessuno può più dare vita ai sogni stroncati a metà, nessuno può più riportare il tempo indietro, nessuno può disfare quello che ormai è stato fatto. Ma tutti, dico tutti, più italiani (in questo caso) che albanesi, devono trarre lezioni, specialmente per il modo di comportarsi con gli stranieri, o la vergognosa generalizzazione dei crimini, colpe o sbagli che può fare uno straniero. Desidero chiudere queste righe, piene di dolore ma anche rivolta, con un commento tratto da un sito internet italiano (www.ilsalvagente.it).

“Pesantemente sotto accusa il modo di fare del proprietario della villetta, Tommaso Mengoni. “Lui è uno fuori testa, un drogato, fino alle 4 di mattina teneva la musica, il televisore, a volume alto. È lui il motivo della tragedia”: dicono i vicini. Anche il sindaco di Barberino del Mugello, Gian Piero Luchi, parla di “uno personaggio un po’ particolare, in passato c’erano stati piccoli incidenti”.

Questa volta il “piccolo incidente” è costato la vita a tre poveri immigrati: una giovane donna e due ragazzi. A parti invertite si invocherebbero le “ronde” contro gli albanesi. Così, invece, non resta che piangere tre vittime innocenti.”

La solidarietà della Regione, Provincia e Comune è da apprezzare. Ma a che può servire ad un marito, un padre, la cui famiglia si è spenta dall’irresponsabilità di un italiano e le altre strutture di questo stato?! Nemmeno la condanna di Mengoni, o di cento “Mengoni” non cambierebbe niente, oltre che a servire come lezione per riflettere, più agli italiani che agli albanesi… uno stato che ci accolse, ci diede rifugio, lavoro e cibo, ma che tuttora non ci tratta come lo meritiamo, almeno gran parte degli albanesi che vivono in Italia.

Blerti Delija

 

 

L’Italia cambia la legge sul ricongiungimento familiare

Il Decreto Legislativo N. 160, è entrato in vigore dal 5 novembre 2008, ha stabilito le nuove procedure per il ricongiungimento familiare. Anche le richieste presentate prima di quella data e che sono tuttora in processo d’esame, devono rispondere alle nuove disposizioni del Decreto 160.

Il diritto di conservare l’unità familiare viene riconosciuta a tutti quei immigrati, in possesso di permesso di soggiorno CE per la residenza a lungo termine, svalutando la carta di soggiorno. Possono avvalersi anche quelli in possesso di permesso di soggiorno di un anno, per motivi di lavoro, auto-impiegati, per motivi di studio, motivi religiosi, di asilo, motivi familiari e di aggiunta protezione. La legge stabilisce che il diritto di ricongiungimento familiare non ha a che fare solo con i coniugi e genitori, ma con tutte le persone che sono a carico del richiedente, fino ai bambini nati fuori matrimonio, quando queste viene provato con la necessaria documentazione. Diversamente dalla legge precedente, gli immigrati si possono ricongiungere con i genitori, solo quando questi sono ultra 65-enni e non hanno nessun figlio in Albania. Quando per uno o più figli residenti in Albania, si prova l’inabilità di mantenere i genitori per comprovati motivi di salute, allora si può avere il ricongiungimento familiare. Dopo il rilascio del nulla osta da parte dello Sportello Unico sull’Immigrazione della competente prefettura, che spedisce la documentazione alle autorità consolari, i familiari devono presentare la documentazione comprovante i legami e i motivi per cui si fa la richiesta. La legge da il diritto al Consolato che in alcuni casi, quando esiste il dubbio sull’originalità della documentazione, di richiedere un certificato basato sull’esaminazione dell’DNA, che prova i legami di famiglia. Il costo dell’esaminazione è a carico dell’interessato.

La Redazione

 

 

Nemmeno quando il deputato usa violenza sul sacerdote non si infrange la legge?!

Sia l’estremismo religioso che la violenza sono prodotto delle società regressive. Fortunatamente l’estremismo non è emerso molto durante gli ultimi 70 anni, mentre non raramente si è verificata violenza, addirittura fisica, sui rappresentanti religiosi, sia cattolici che musulmani. Cosi, la strada verso l’Europa e le strutture Euro-Atlantiche prende molte curve diventando un labirinto tenebroso. La via della religione in Albania e abbastanza ostacolata dai ladri del potere. No, no, non è libera. La via della religione non può essere libra per niente quando il sacerdote viene picchiato dai nipoti del deputato, mentre è all’altare. Questo è avvenuto nella Chiesa di Laç. Ylli Vlashi e Astrit Vlashi, nipoti del deputato Pal Dajçi, usano violenza su padre Mikel Pllumbaj, durante il servizio religioso, in presenza di circa 400 fedeli. Secondo il sacerdote, i violentatori sono stati spinti dal deputato Pal Dajçi e il sindaco di Laç, Luigj Isufi. Essi, da tempo, hanno occupato forzatamente superfici di terra, proprietà della Chiesa di San Antonio, dove hanno costruito un bar. Il deputato e il sindaco si giustificano, addirittura minacciando la Chiesa attraverso dichiarazioni ignoranti, mentre parlano di stato di legge, in quanto i guadagni dal baro non ci vuole tanto a calcolarli. Diciamo questo perché è protetto dallo stato, e anche i due violentatori del sacerdote e del luogo sacro dove sono avvenuti dei miracoli da secoli. Perché allora, questi due infedeli non dichiarano quante tasse ed imposte sono state pagate da questo bar? È un punto dove il caso si spoglia, non solo moralmente ma anche politicamente e legalmente. Chiunque sa che per sette settimane, fino alla domenica di Pasqua, circa 80.000 fedeli e pellegrini frequentano la chiesa ogni giorno. Ma, quanti fedeli vanno li nei martedì di San Antonio? Perché ogni fedele ci va almeno una volta. Se, mentre camminano per un ora di andata e una di ritorno a Laç, spendessero almeno un euro, si calcolerebbe che per 49 giorni, il reddito di quel bar andrebbe a circa 3.920.000 Euro. E durante un anno? E durante circa 17 anni? Questi soldi almeno andrebbero sulle tasche del deputato e del sindaco, e questo non vuole molte indagini. Andate solo un giorno e verificate il giro del bar che ruba e viola la Chiesa, la coscienza di chiunque, anche dei musulmani, perché li ci vanno tutti, senza distinzione. Tutti sappiamo che sono andati anche durante i 23 anni di dittatura, mentre la religione era proibita dalla Costituzione. Anche quando l’ex Primo Segretario del Comitato Centrale della Gioventù, Lisen Bashkurti, era incaricato dal partito di controllare la Chiesa di San Antonio per radere a zero i giovani che credevano in Dio, per spaventare i fedeli e per distinguere quelli di media età per poterli condannare dopo con l’aiuto di alcuni testimoni appoggiati dal partito, giusto perché andavano a Laç. Si faceva cosi perché nemmeno Enver Hoxha poteva arrestare tutti quei fedeli, poiché erano tanti, più di 30.000 al giorno. Oggi, questo Lisen si occupa di diplomazia. Oggi, questo stato tace e non dice una parola, si nasconde come lo struzzo. Oggi nemmeno il tribunale trova dei fatti per arrestare i due nipoti del deputato, ma delibera la loro presentazione e le indagini in libertà.

So.Pe.